VINO
CASTRUM VINI
Risalendo le coste italiche, la coltivazione della vite si diffuse in questa regione verso il 1000 a.C.. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia ci parla per la prima volta della produzione nelle terre a sud di Roma delle Alveole, uve rosse da vino dal piccolo acino probabili capostipiti del Cesanese. I colli olevanesi, così felicemente esposti a mezzogiorno nell’Alta Valle del Sacco e la via Latina, fecero bere condottieri equi e volsci, pretori e centurioni in pensione, monaci benedettini che molto si dolsero nel lasciarli alle famiglie della nobiltà romana. Nessuna meraviglia se negli Statuta Olibani del 1364 si regolino questioni attinenti le vigne, in difesa dei danni dei ladri e delle bestie al libero pascolo, ed il vino, contro i danni dei tavernieri esosi o che vendevano vino aquato e forestiero. Ad libutum invece, si poteva vendere e bere il vino prodotto nel territorio del castro. Dall’età antica sicuramente si eredita il nome Cesanese come vino delle caesae, il vino del bosco tagliato.
LE BOTTIGLIE DEL PAPA E IL VINO RASPATO

Nel 1549, Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III Farnese, scrive: “...[vini dello Stato dei Colonnesi]... S. S. non ne beveva di nessuno perché certo et per esperienza sono vini cotti et arrosti et arsi et matrosi et grassi. Sicchè sono vini da lassarsi alli contadini”. Anni bui per le nostre terre: il Lancerio dovette assistere un paio di volte alla distruzione del feudo di Paliano, tenuto al tempo dagli invisi Colonna, per mano degli “Illustrissimi Farnese, miei padroni”: una guerra combattuta anche a colpi di feroci giudizi sul vino! Ci consola pensare che Alessandro Petronio, cerusico romano del ‘500, nel suo De Victu Romanorum del 1581, versato in italiano come Del viver delli Romani et di Conservar la Sanitá nel 1592, avesse nella mente e nei sensi, proprio “grani d’uva nera” Cesanese nel descrivere la preparazione del vino raspato, il rosso dolce frizzante che si otteneva con particolari tecniche di cantina non essendo ancora possibile la fermentazione in bottiglia.
Abbozzando una prima fisiologia del gusto, diceva: “...[vino che]... è insieme dolce, e salta e scintilla, il quale effetto è detto da alcuni brillare... e getta una gran quantità di spuma piena di quelli spiriti focosi, li quali... salendo fuori con gran furia... entrano all’intime parti dell’instrumento del gusto, e passando per tutta la lingua, la penetrano da ogni banda, e in certo modo dolcemente la fendono, e rappresentano una certa specie di prorito, e di pontura con gran dilettatione”. Dal ‘600 provengono le prime testimonianze scritte sul vino detto Cesanese, che veniva regolarmente spedito sui carretti a vino nella città della capitale e classificato come vino romanesco, ossia arrivato dal circondario, distinto dal vino di Ripa giunto dal Tevere al Porto di Ripa Grande da regioni lontane.
Abbozzando una prima fisiologia del gusto, diceva: “...[vino che]... è insieme dolce, e salta e scintilla, il quale effetto è detto da alcuni brillare... e getta una gran quantità di spuma piena di quelli spiriti focosi, li quali... salendo fuori con gran furia... entrano all’intime parti dell’instrumento del gusto, e passando per tutta la lingua, la penetrano da ogni banda, e in certo modo dolcemente la fendono, e rappresentano una certa specie di prorito, e di pontura con gran dilettatione”. Dal ‘600 provengono le prime testimonianze scritte sul vino detto Cesanese, che veniva regolarmente spedito sui carretti a vino nella città della capitale e classificato come vino romanesco, ossia arrivato dal circondario, distinto dal vino di Ripa giunto dal Tevere al Porto di Ripa Grande da regioni lontane.
LO VINO PIÙ BÒNO DEGLIO MONNO
Tanto forte il legame degli olevanesi con questo frutto della terra, da affidarne per sempre la custodia allo sguardo della Madonna, nella decorazione aurea delle colonne torte seicentesche dell’altare maggiore del santuario dell’Annunziata. Il vino rappresentava la prima fonte di reddito, l’alimento principe nel lavoro dei campi e l’immancabile compagno delle serate in osteria o nelle fraschette che si allestivano in occasione delle feste. La coltivazione della vite avveniva secondo antichi sistemi di derivazione greca ed etrusca, ancora visibili tra i vigneti: dalle viti maritate all’ornello, il frassino, o ad alberi da frutto, alle conocchie di canne secche, metodi che producono uve di eccezionale qualità a detta degli agronomi d’oggi. Appena raccolte, le uve venivano vinificate nei piccoli casali tra le vigne, il tipico tinello laziale, composti da una grande cantina seminterrata e un’unica stanza al piano superiore per il riparo degli uomini e delle grasce, il raccolto di frutta e granaglie della stagione. Altre volte venivano portate a dorso di mulo nelle cantine all’interno del paese, fino a sei viaggi al giorno e trescate immediatamente all’arrivo, seguitando le antiche regole della corretta enologia. Spesso nelle pareti di fondo delle cantine nel centro abitato, si apre l’ingresso di una grotta, la grotta vinaria di origine latina, nella quale ancora oggi spesso si ottiene la maturazione e l’invecchiamento dei vini.
LO SDEGNO DEL VESCOVO E LE OSTERIE STORICHE

Nel 1754 il Cardinale Spinelli, Vescovo di Palestrina, durante una visita pastorale alla parrocchia di S. Margherita, ebbe a turbarsi per il baccano che giusto sotto l’ingresso della chiesa si produceva dal banchettare in una taverna, con vino e giochi e imprecazioni e bestemmie! Così, per il rispetto dei luoghi sacri, proibì tali pratiche. Di questi ambienti di convivio e perdizione, si ricordano l’osteria Perinelli in Via Pio Cassetta all’11 (appunto sotto la chiesa) e Tagliacozzi in Via Roma, civico 89. Oggi sola sopravvissuta è quella Lanciotti in Via Cavour 54. Di certo, gli artisti romantici arrivarono ad Olevano fascinati dei paesaggi, ma anche per la lusinga dei vini, che avevano amato nelle osterie trasteverine. Tracciarono in questo modo le strade delle villeggiature e delle gite fuori porta che giungevano ad Olevano, percorse poi con l’apertura della linea ferroviaria Roma-Fiuggi nel 1917. I viaggiatori avevano occasione di arrivare dalla stazione al paese a piedi o a dorso di mulo, godendo di un paesaggio ancora integro, ricevuti dagli osti e dai ristoratori olevanesi.
DIAVOLERIE MODERNE E SAGRE
Il secolo delle macchine ha introdotto ad Olevano notevoli ed utilissime innovazioni in fatto di vini. Esempi sono l’invenzione del filaro, che andava a sostituire la conocchia, l’antico metodo per sorreggere pampeni e rappai; e l’introduzione della macchina a Cecchetti per la ramata aspersione dei tralci. La partecipazione a sfilate di corporazione nel ventennio, e l’istituzione delle Sagre dell’uva, nei decenni successivi, risposero alle inedite necessità di propaganda e promozione del prodotto. Fu vera gloria? Trattasi ancora oggi di amletico dubbio, ben formulato coi versi di un noto bardo locale: “filaro o conocchia, abbasta che ‘nse scacchia”.
CESANESE OGGI E PER IL FUTURO

Olevano Romano: un paese che vive del Cesanese e che anche grazie ad esso si fa conoscere in Italia e nel mondo. Sempre più volte capita di organizzare visite in cantine e nelle vigne, abbinate a un pranzo o una cena nei ristoranti di Olevano. Mai nessuno rimane deluso. Come si fa a non riconoscere la bellezza dei luoghi, delle vigne, delle cantine assieme alla bontà del cibo? Grazie alla loro simpatia, forza e voglia di fare i viticoltori migliorano i loro vini bianchi e il rosso Cesanese di anno in anno. Tornando indietro nel tempo e pensare a quindici anni fa... Chi poteva immaginare i progressi che si sarebbero fatti nelle vigne, nelle cantine e nei vini in bottiglia? Grazie al lavoro d questi anni, i prezzi dei vini hanno iniziato, giustamente, a salire, convincendo i produttori di poter vivere e vivere bene. La passione, la determinazione, gli studi, le sperimentazioni portano sempre maggiori soddisfazioni. Arrivano riconoscimenti dalle guide e dalle manifestazioni di Roma, Verona e Milano e cosa più importante, dai mercati. Oggi si trovano bottiglie di Cesanese di Olevano nella lista dei vini di importanti ristoranti ed enoteche di Roma e non solo. Qualche produttore si è già spinto oltreoceano. Il Cesanese si trova alla mescita sulle lavagne di molte vinerie e winebar ed è sempre un piacere dire che è Cesanese di Olevano Romano. Nonostante questo non ci si può fermare e si deve migliorare. Bisogna continuare a migliorare nelle vigne e nelle cantine: botte grande, barrique, tonneau, tronco conico, follature, fermentazione corta, fermentazioni lunga... va trovato un clone definitivo, piantare in basso a 300 m; piantare in alto fino a 600 m; guardare alle produzioni biologiche e ai vini naturali. Bisogna lavorare con la stessa passione e la stessa determinazione degli ultimi quindici anni. Si è seminato bene e si stanno raccogliendo i frutti. I vigneti tornano ad avere interesse economico; enologi, operatori del settore, appassionati e turisti prenotano per visitare le cantine ed i ristoranti. Tutto ciò fa in modo che vi sia lavoro per tutti. Un monito a fare sempre meglio e alla collaborazione tra vecchi e nuovi produttori perché, come si è sempre detto, l’unione fa la forza e insieme si progredisce. Da qualche anno si è affermata anche un’iniziativa promozionale di carattere nazionale sul vino e sulle eccellenze alimentari dal nome Vinointorno, nata dall’associazione Extrawine.Tutto il territorio è ormai pronto a percorrere sempre di più questa nuova strada di qualità per l’enogastronomia Olevanese, sicuro che si formeranno nuove generazioni di Cesanese Boy e Girl, pronti a raccogliere la sfida.
STRADA DEL VINO TERRA DEL CESANESE DI OLEVANO ROMANO
La Strada del Vino Terra del Cesanese di Olevano Romano è stata istituita con Delibera di Giunta Regionale n° 733 del 28 settembre 2007 e riconosciuta con la pubblicazione sul BURL n° 33 del 30 novembre 2007. Costituitasi come associazione senza fini di lucro, ha l’obiettivo di rafforzare la cultura della qualità, dell’accoglienza e dell’ospitalità, promuovendo e valorizzando le peculiarità enologiche, gastronomiche, turistiche, storiche ed ambientali presenti sul proprio territorio. Persegue questo obiettivo con: la gestione di un sistema di controllo dei requisiti minimi degli associati secondo le rispettive categorie, ai sensi di quanto stabilito dalle vigenti leggi e regolamenti regionali; la promozione di un percorso di miglioramento della qualità proposto in forma volontaria agli associati; la promozione di studi, indagini, iniziative commerciali e pubblicitarie, sia nazionale sia internazionali, utili a dare incremento alla produzione ed al commercio dei beni e servizi nei settori di competenza; svolgendo direttamente ed indirettamente attività informativa e formativa volta alla valorizzazione del territorio. La mission della Strada è quella di veicolare in Italia e all’estero il concetto di terroir, che può essere definito come un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità, dove si esalta lo stretto legame di unicità tra il prodotto e il luogo dove esso nasce. Negli ultimi anni, anche grazie a queste dinamiche di confronto e dialogo e al cambio generazionale delle aziende agricole e vitivinicole operanti sul territorio si è assistito ad una rinascita e al tempo stesso una trasformazione del modo di produrre il vino Cesanese. Con l’introduzione delle nuove tecniche di allevamento e vinificazione nel rispetto dei metodi tradizionali, dal tradizionale vino rosso dolce e frizzante di pronta beva si è passati all’affermazione di un vino rosso secco di grande intensità e struttura, molto apprezzato sul mercato nazionale e internazionale, con una grande propensione all’invecchiamento. Soci della stessa possono essere tutte le aziende legate alla produzione e alla trasformazione di prodotti eno-gastronomici e turistici che ricadono nei comuni che si trovano nell’area di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata Cesanese e Cesanese di Olevano Romano.
Sede Operativa: via Roma, 38 – 00035 Olevano Romano – C.F. 93015810588
Vi suggeriamo il seguente sito web per ulteriori aggiornamenti ed info:
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Fonte: Guida alla visita di Olevano Romano, 2 ed^., 2015
OLIO
L'ALTRA META' DEL NOME: L'OLIO

Pari orgoglio d’Olevano è la coltura dell’olivo, patrimonio atavico riposto nella leggenda del suo nome antico Olibanum. Come detto negli Statuta, nel Castro di Olevano il commercio dell’olio era favorito dall’assenza di dazi, e le prime disposizioni circa la coltivazione dell’olivo si trovano nelle Riformanze concesse da Pompeo Colonna nel 1581.
Oliveti secolari sui crinali più scoscesi dei colli, aggiungono toni argentei al mutevole colore delle vigne, nel compimento del paesaggio olevanese. Un tempo, nel momento della raccolta, abbracciati ai rami più grandi, resistendo agli inverni peggiori, si sfilavano i frutti uno ad uno, riponendoli nella cirigna.
Oggi gli stessi frutti vengono accolti tra i colori artificiali dei teli, disegnando lisce geometrie tese tra le piante.
Gli usi dell’olio di oliva, in parte ormai affidati al ricordo popolare, sono quelli che distinguono tutte le culture del mediterraneo, in ogni era, per ogni religione: unguento sacro e lenitivo, condimento irrinunciabile, balsamo per la pelle e per la cura dei capelli.
Ultima eredità del tempo, solo quasi un ricordo, sono gli antichi frantoi a pietra, De Pisa, Bonuglia, Romanella... meravigliosi edifici e tra i più grandi, che ospitano ancora le belle macchine, segni di archeologia industriale.
Oliveti secolari sui crinali più scoscesi dei colli, aggiungono toni argentei al mutevole colore delle vigne, nel compimento del paesaggio olevanese. Un tempo, nel momento della raccolta, abbracciati ai rami più grandi, resistendo agli inverni peggiori, si sfilavano i frutti uno ad uno, riponendoli nella cirigna.
Oggi gli stessi frutti vengono accolti tra i colori artificiali dei teli, disegnando lisce geometrie tese tra le piante.
Gli usi dell’olio di oliva, in parte ormai affidati al ricordo popolare, sono quelli che distinguono tutte le culture del mediterraneo, in ogni era, per ogni religione: unguento sacro e lenitivo, condimento irrinunciabile, balsamo per la pelle e per la cura dei capelli.
Ultima eredità del tempo, solo quasi un ricordo, sono gli antichi frantoi a pietra, De Pisa, Bonuglia, Romanella... meravigliosi edifici e tra i più grandi, che ospitano ancora le belle macchine, segni di archeologia industriale.
I NUMERI DELL’OLIO
Le varietà di olive coltivate tradizionalmente sono la Frantoio, Leccino, Moraiolo e principalmente la Rosciola: la presenza di diverse cultivar si spiega con le esigenze di adattamento climatico e ai diversi suoli, non che di impollinazione.
L’antichissima Rosciola, pianta rustica con bassa produzione di frutti nero-rossastri e media resa in olio, e quasi estinta nel resto d’Italia e testimoniala millenaria presenza dell’ulivo in queste zone.
Dalle olive ottenute, raccolte per brucatura a mano o con ausilio di piccoli abbachiatori meccanici, viene prodotto un olio gia conosciuto da Lucullo e sempre più apprezzato sulle tavole e dai nutrizionisti: leggermente velato, perché non filtrato, di colore dorato con lievi riflessi verdognoli, all'olfatto di buona intensità e persistenza, e caratterizzato da sentori fruttati e verdi che si ritrovano al gusto, armonioso, lievemente amarognolo e piccante in chiusura.
Ottimo sia crudo che in cottura, particolarmente per pesce e carni grigliate.
Pur rappresentando con quasi 70.000 piante una delle realtà maggiori del Lazio, l’olivicoltura olevanese sconta la tradizionale frammentazione produttiva: appezzamenti di dimensioni quasi sempre ridotte con 3/400 piante per ettaro, e centinaia di aziende a conduzione familiare, penalizzano la commercializzazione e una efficace offerta sul mercato: collocata a
cavallo tra i Monti Tiburtini e la Ciociaria, si attende una stagione di rinnovamenti che prevedano nuove forme di aggregazione tra i produttori, per rendere più visibile il legame tra l’olio e il suo territorio, il controllo qualitativo ed affrontare le esigenze di commercializzazione e comunicazione per tendere alle certificazioni di qualità nazionali ed europee.
L’antichissima Rosciola, pianta rustica con bassa produzione di frutti nero-rossastri e media resa in olio, e quasi estinta nel resto d’Italia e testimoniala millenaria presenza dell’ulivo in queste zone.
Dalle olive ottenute, raccolte per brucatura a mano o con ausilio di piccoli abbachiatori meccanici, viene prodotto un olio gia conosciuto da Lucullo e sempre più apprezzato sulle tavole e dai nutrizionisti: leggermente velato, perché non filtrato, di colore dorato con lievi riflessi verdognoli, all'olfatto di buona intensità e persistenza, e caratterizzato da sentori fruttati e verdi che si ritrovano al gusto, armonioso, lievemente amarognolo e piccante in chiusura.
Ottimo sia crudo che in cottura, particolarmente per pesce e carni grigliate.
Pur rappresentando con quasi 70.000 piante una delle realtà maggiori del Lazio, l’olivicoltura olevanese sconta la tradizionale frammentazione produttiva: appezzamenti di dimensioni quasi sempre ridotte con 3/400 piante per ettaro, e centinaia di aziende a conduzione familiare, penalizzano la commercializzazione e una efficace offerta sul mercato: collocata a
cavallo tra i Monti Tiburtini e la Ciociaria, si attende una stagione di rinnovamenti che prevedano nuove forme di aggregazione tra i produttori, per rendere più visibile il legame tra l’olio e il suo territorio, il controllo qualitativo ed affrontare le esigenze di commercializzazione e comunicazione per tendere alle certificazioni di qualità nazionali ed europee.
Fonte: Guida alla visita di Olevano Romano, 2 ed^., 2015